Pizza, meno male che ci sei! Di qualunque varietà , tipologia e provenienza regionale, la pizza ci ha salvati da una situazione scomoda una marea di volte. Frigorifero deserto, zero voglia di cucinare, ospiti inattesi, traslochi … e potremmo allungare la lista all’infinito. E Pare che a pensarla siano davvero in tanti: non solo perché la pizza è il terzo cibo più consumato a livello globale dopo riso e pasta, ma anche perché alla pizza è stata dedicata una giornata mondiale. Il World Pizza Day si celebra il 17 gennaio, non a caso in corrispondenza con la festa di Sant’Antonio Abate protettore di pizzaioli e fornai.
Quello della pizza è un viaggio di sapori che ci porta dal globale al locale, e viceversa. Proprio per questo non c’è da stupirsi se da qualche parte lì fuori c’è chi festeggerà ordinando una “hawaiana”. Non siate troppo severi con le derive meno ortodosse e tiratevi su il morale facendo un salto a piè pari nella tradizione italiana ricca di varianti regionali della pizza: al padellino, fritta, alla pala … ogni varietà tipica merita di essere assaggiata almeno una volta nella vita. Perché le pizze regionali più celebri d’Italia regalano gioie vere: quelle che si mangiano (e si tramandano).
Le varianti regionali della pizza più famose
Sono le tipologie di pizza tipica che hanno varcato la soglia della regione d’appartenenza per arrivare un po’ dappertutto (e meno male!). Su tutte la pizza napoletana che si è guadagnata lo status di patrimonio immateriale dell’umanità Unesco. Iniziamo proprio da qui.
La pizza napoletana
Sì, è quella con il cornicione alto e soffice, ma non basta. Le caratteristiche della pizza napoletana sono codificate dal disciplinare internazionale dell’Associazione Verace Pizza Napoletana nata nel 1984. Per riconoscerla a prima vista, le indicazioni sono tre: è tondeggiante con un diametro che non deve superare i 35 cm; ha un bordo rialzato gonfio e senza bruciature di circa 1 o 2 cm; è morbida e fragrante. Poi condimenti di origine campana e una cottura di appena 60-90 secondi ad una temperatura che va dai 430 ai 480 C°.
La pizza fritta
La pizza fritta napoletana nasce, nel dopoguerra, come alternativa povera alla pizza al forno proprio perché non necessitava del forno a legna e poteva essere farcita con ingredienti più economici come i ciccioli di maiale e la ricotta. Di forma rotonda oppure allungata, ovvero a “battilocchio”, la pizza fritta è uno degli street-food napoletani per eccellenza. Da non confondere con la montanara, o pizzella: una pizza fritta di piccole dimensioni senza ripieno e condita con pomodoro, formaggio e basilico.
Il calzone napoletano
Concludiamo la serie di pizze tipiche campane con il calzone napoletano. ‘O cazone ‘mbuttunat, così si dice nella capitale campana, è una pizza margherita ripiegata a mezzaluna e farcita proprio come una “grande calza” ripiena di sorprese golose. Non si frigge ma si cuoce al forno.
La pizza alla pala
La pizza alla pala, o pinsa romana, è uno dei molti orgogli gastronomici della capitale. Si tratta di una pizza croccante, che quando si morde fa “crunch”, molto alveolata e leggera. Per ottenerla l’impasto dev’essere ad alta idratazione, ovvero con il 75-80% di acqua rispetto alla farina, e contare su una lievitazione in frigorifero di almeno 24 ore. Molti degli ingredienti vengono aggiunti dopo la cottura e direttamente sulla pala, dalla quale la pinsa eredita la caratteristica forma rettangolare allungata.
La pizza in teglia
Altra pizza “alla romana” che segue le precise regole di preparazione del disciplinare APITER (Authentic PIzza in TEglia alla Romana). La pizza è cotta in teglie rettangolari dopo 72 ore di lievitazione e, una volta sfornata, viene lasciata raffreddare su una gratella in modo da permettere all’umidità in eccesso di evaporare lasciando l’impasto friabile.
Il panzerotto
La pasta cresciuta pugliese è farcita con pomodoro, mozzarella e altri ingredienti tipici stagionali, richiusa a mezzaluna e rigorosamente fritta. Si gusta come sostanzioso spezza fame, anche da passeggio.
Le varianti regionali della pizza meno conosciute
Meno mainstream e più difficili da assaggiare al di là del territorio che ha dato loro i natali, queste varietà di pizza regionale ci conducono dal Piemonte alla Sardegna. Tenetele a mente la prossima vacanza gastronomica!
La pizza al tegamino
Chiamatela pizza al tegamino o al padellino, poco importa: la sostanza è la stessa. La vera pizza secondo i torinesi è morbida e con i bordi praticamente fritti grazie all’olio con il quale viene unto il padellino. L’impasto è ben idratato e lievitato due volte prima fuori e poi all’interno del tegamino in alluminio. Le sue dimensioni sono di circa 20 cm di diametro e si dice che fu ideata e importata dai pizzaioli toscani nel dopoguerra pratici di padellini grazie alla cecina.
La piadizza
Che la si chiami piadizza o piadipizza è facile intuire di cosa si tratta: una piadina romagnola stesa, farcita come fosse una pizza e infornata brevemente. Celebre nell’enclave romagnola è una soluzione veloce da preparare in casa per chi di lievitazione non se ne intende!
La pizza rossini
Tipica della città di Pesaro, lì dove nacque il noto compositore Gioachino Rossini, la pizza rossini è una margherita condita con fettine di uova sode e maionese dai formati più disparati: tonda, quadrata, grande e mignon. Un mix indovinato tra pizza e tramezzino ideato negli anni ’60 da una pasticceria locale, la Montesi.
La pizza gialla
La pizza orvietana deve il colore giallo all’utilizzo della farina di mais all’interno dell’impasto non lievitato a base di farina e acqua calda aromatizzata con salvia, rosmarino e chiodi di garofano. Si cuoce in teglia, al forno, e si serve, una volta raffreddata, con un trionfo di salumi locali. Assomiglia alla “pizz di radinje e fuje” molisana accompagnata da verdura cotta ripassata in padella.
Lo sfincione
Missione di oggi: scovare la rosticceria siciliana più vicina e chiedere dello sfincione. L’interpretazione tutta palermitana della pizza assomiglia ad una “spugna” (dal latino “spongia”) di pasta lievitata in due tempi e condita con salsa di pomodoro e cipolle, acciughe, caciocavallo e mollica di pane.
La scaccia
Una sottile sfoglia d’impasto di semola di grano duro farcita con pomodoro, cipolle e caciocavallo, e ripiegata su sé stessa fino a formare un rotolo piatto da cuocere al forno. La paternità è contesa tra Ragusa e Modica.
La S’Anguli ‘e cibudda
Siamo in Sardegna, nella regione dell’Ogliastra, lì dove i contadini, durante la vendemmia e altri lunghi lavori agricoli, consumavano questa varietà di pizza come spuntino nutriente. A metà fra una torta salata e una pizza si prepara mescolando farina, olio, acqua sale, cipolla, zucchine, pomodori e pecorino sardo. Ora si cuoce in teglia ma, tradizionalmente, veniva adagiata sulle foglie di cavolo verza e infornata.