Il rafano è una radice bianca spesso scambiata per l’ingrediente di base del wasabi. Niente di più sbagliato. Questo ortaggio originario dell’Asia è noto da tempo nelle cucine della Basilicata ma anche del Nord Italia: da secoli regala piccantezza e sapore a moltissimi piatti italiani. Ecco cos’è il rafano e come si usa in cucina.
Il rafano (il cui nome latino è Armoracia rusticana L.) è una radice di colore biancastro e dal sapore lievemente amarognolo e piccante, appartenente alla famiglia delle crucifere. Nota anche con il nome di barbaforte o cren, questa pianta ha origine nell’Europa sudorientale e nell’Asia occidentale.
Cosa è il rafano
Il rafano è una pianta rustica e perenne, alta circa 50 centimetri, con foglie grandi e ruvide, di colore verde intenso, che possono essere anche cucinate, ma solo quando sono piccole e tenere. Viene piantato a febbraio e raccolto in autunno. Piccoli fiori bianchi con quattro petali compaiono all’inizio dell’estate. La radice è bianca e di forma cilindrica: va consumata quando la pianta ha almeno un paio di anni di vita.
Proprietà e benefici
Il rafano è famoso per essere un antibiotico naturale, un po’ come aglio e zenzero. Ciò è dovuto alla presenza di sinigrina, un olio dalle potenti proprietà antibatteriche, che conferisce al rafano il noto sapore amaro e piccante.
Un’altra delle sue miracolose proprietà è quella analgesica: in caso di dolori muscolari il rafano fa miracoli. Basta tritarlo e mescolarlo ad alcool e grappa, per poi applicarlo sulla parte interessata attraverso delle garze.
La sua piccantezza che a tratti vira verso il balsamico, conferisce al rafano proprietà decongestionanti: usalo durante il raffreddore, ti aiuterà ad eliminare il muco e a liberare le vie respiratorie. Infine, questa radice va assunta da chi ha problemi di ritenzione idrica perché è un potente diuretico.
Cento grammi di questa radice forniscono 48 calorie. Inoltre questa radice contiene molta vitamina C, poco sodio, acido folico e fibre alimentari, ma un cucchiaio di rafano (circa 15 grammi) non fornisce alcun significativo contenuto di nutrienti.
Controindicazioni
A fronte di tante proprietà benefiche, il rafano ha anche qualche controindicazione. Ad esempio non è indicato per chi soffre di problemi gastrointestinali e patologie renali. Non va assunto in gravidanza e durante l’allattamento. Inoltre, è particolarmente sconsigliato a chi soffre di mal di testa: può infatti procurare cefalee, senso di stanchezza e affaticamento.
La quantità giornaliera
Oltre alle controindicazioni descritte, questa radice può avere effetti avversi su chi soffre di problemi alla tiroide. Per questo motivo, l’Agenzia Europea per la sicurezza alimentare ha indicato come quantità giornaliera massima da assumere 0,2 milligrammi per chilo di peso corporeo della persona che consuma il rafano.
Come si usa in cucina
Questa radice è anche noto con il nome di barbaforte o cren – quindi, tra le tre denominazioni non ci sono differenze di sostanza. In cucina questa radice viene usata come esaltatore di sapore. Famosa è la salsa al rafano, conosciuta anche come salsa cren, spesso usata per condire il bollito, per condire le patate novelle e per creare tante altre ricette gustose.
Ci vogliono pochi minuti per preparare un’ottima salsa cren, ideale accompagnamento con uova sode, tartine, carni bollite o alla griglia e pesci affumicati o grigliati. Aggiungi un cucchiaino di salsa cren alla tua maionese fatta in casa: gli darai più profumo e un sapore esplosivo.
Le foglie piccole e tenere possono essere aggiunte crude all’insalata. Fettine sottili di radice possono essere messe in infusione in acqua bollente, per preparare una tisana drenante e depurativa.
Nella tradizione culinaria della Basilicata il rafano viene utilizzato per preparare la rafanata materana o marsicana: la radice grattugiata fresca viene unita al formaggio pecorino, uova sbattute, prezzemolo e pepe nero. Questi ingredienti concorrono alla preparazione di una frittata servita solitamente a carnevale.
Rimanendo tra le tradizioni lucane, un altro alimento che ha bisogno del rafano è il ndruppc o “intoppo”, un ragù tipico della città di Potenza, dove la radice viene grattuggiata fresca direttamente sul piatto di ragù appena preparato, assieme al formaggio. Questo utilizzo vale al rafano il nome di “u tartuf’ d’i povr’ òmm”, cioè tartufo dei poveri.
Nella provincia di Potenza il rafano è usato anche per aromatizzare le minestre a base di verza. Nella cucina triestina va ad aromatizzare gli antipasti a base di prosciutto cotto.
Il rafano e il wasabi?
In molti pensano che il rafano e il wasabi siano la stessa cosa. In realtà si tratta di due radici differenti, appartenenti però alla stessa famiglia botanica: la prima è bianca, la seconda è verde. Il rafano e il wasabi hanno in comune i sapori amaro e piccante.
La pasta di wasabi accompagna il sushi e il sashimi nella cucina giapponese, dando alla tenera carne di tonno o salmone una marcia in più. Tuttavia il piccante di rafano e wasabi è completamente diverso da quello del peperoncino. Queste due radici non eccitano la lingua bensì il naso. Di primo acchito potrebbe infastidire chi non è abituato al sapore: per questo bisogna andarci piano con le dosi.
Che differenza c’è tra rafano e zenzero
Nonostante vengano spesso messe a confronto, rafano e zenzero non si somigliano per niente e il loro aspetto è assai diverso. Lo zenzero è una pianta della famiglia delle Zingiberaceae, mentre il rafano appartiene a un’altra famiglia e cresce come il cavolo. Il primo, poi, è originario dell’Asia, il secondo dell’Europa. gli unici punti in comune sono che entrambi sono ortaggi a radice e che vengono utilizzati sia per cucinare sia per scopo medicinale.
Dove si compra il rafano
Il rafano non è facile da trovare: può essere presente in alcuni supermercati molto forniti o in negozi specializzati. Un’altra opzione è quella di comprare il rafano online: su Internet si trovano sia confezioni di polvere di rafano sia piantine e radici.
Come si conserva
Una volta raccolte e pulite, le radici possono essere conservate grattugiate in congelatore, pronte all’uso. Altrimenti puoi tenerle in frigo, in un barattolo di vetro, immerse nell’aceto.