glutammato cos'è perché fa male

Glutammato, facciamo chiarezza: cos’è, perché si usa, è vero che fa male?

Sciogliamo tutti i dubbi sul famigerato glutammato monosodico: come è usato questo esaltatore di sapidità

Il glutammato monosodico è forse il condimento più chiacchierato di sempre: l’opinione comune lo vuole dannoso e potenzialmente pericoloso per la salute mentre secondo altri pareri sarebbe una sostanza innocua, salvo particolari sensibilità personali. Qual è la verità sul glutammato? Prima di indagare se fa male alla salute o è solamente vittima di un pregiudizio diffuso, scopriamo cos’è il glutammato e perché si usa in cucina, partendo proprio dalle sue origini legate al quinto sapore: l’umami.

Cos’è il glutammato

Si tratta di un additivo alimentare usato come insaporitore. Chimicamente parlando è la forma ionizzata dell’acido glutammico. Nello specifico si tratta del sale di sodio dell’acido glutammico, uno degli aminoacidi che costituiscono le proteine. Dal momento che l’acido glutammico si trova nelle proteine, tutti i cibi proteici stagionati o fermentati ne sono ricchi: carne, formaggi, acciughe e salsa di soia sono alcuni esempi. 

Ma è solo agli inizi del secolo scorso che il glutammato è comparso come additivo in polvere grazie all’intuizione del chimico giapponese Kikunae Ikeda che dopo averlo estratto dalle alghe ha brevettato un processo per produrlo a partire dal glutine di frumento, intuendone le potenzialità di mercato. Il suo successo risiede nel suo sapore che travalica salato, dolce, amaro e aspro: è infatti associato all’umami, un gusto pieno e delizioso, simile a quello del dashi, la zuppa tradizionale cinese preparata con l’alga kombu.

Il primo glutammato era quindi estratto da una fonte naturale e veniva successivamente filtrato, decantato, trattato e cristallizzato chimicamente. Non era bianco e raffinato, ma piuttosto grezzo e dal colore marroncino. Con il passare degli anni, per soddisfare la richiesta crescente, si è arrivati alla fermentazione come metodo di produzione biotecnologico per il quale una sostanza chimica – in questo caso un aminoacido – viene sintetizzato da un microrganismo, come un batterio o un lievito.

Dove si trova il glutammato e come riconoscerlo

Ma come riconoscere la presenza del glutammato monosodico all’interno di un alimento confezionato? La sigla del glutammato monosodico nelle etichette dell’Unione Europea è rappresentata dalla serie compresa tra la E620 e la E625. Ma non sempre il glutammato è così facile da identificare: in alcuni prodotti potrebbe essere indicato come “estratto di lievito”, “proteine idrolizzate”, o “estratti di piante proteiche” per il semplice fatto che si tratta di proteine disgregate che liberano aminoacidi, tra i quali il glutammato.

Se quando fai la spesa vuoi evitare il glutammato (o semplicemente farne un uso coscienzioso) dovresti prestare attenzione alle etichette dei seguenti prodotti che spesso e volentieri lo contengono, anche in grandi quantità.

Gli alimenti che potrebbero contenere glutammato:

  • dado da brodo
  • zuppe in scatola
  • noodles precotti
  • salse 
  • patatine confezionate 
  • surimi
  • miscele di spezie

Perché si usa il glutammato?

Il glutammato monosodico si usa per esaltare il sapore dei cibi. Molto popolare nella cucina orientale, il glutammato è utilizzato anche dall’industria alimentare di massa per migliorare il sapore degli alimenti a basso costo. L’effetto è quello di esaltare le papille gustative creando una sorta di dipendenza e la voglia di “mangiarne di più”. Spesso si tratta di alimenti poco sani e molto calorici che se consumati in quantità potrebbero causare problemi di salute come obesità, malattie cardiache e diabete. Ma è solo questa la criticità legata al glutammato o c’è di più?

Il glutammato fa male oppure no?

Secondo la valutazione degli additivi alimentari di FAO (Food and Drugs Organisation) e WHO (World Health Organisation) il glutammato non fa male e non è pericoloso. A dimostrarlo c’è la decisione di non richiedere che venga indicata una dose accettabile giornaliera anche per quanto riguarda donne in gravidanza e bambini al di sopra delle dodici settimane. L’EFSA (l’Autorità Europea per la Difesa degli Alimenti) indica come dose massima giornaliera 3 mg ogni chilo di peso corporeo, una quantità molto elevata e difficile da raggiungere.

Il parere di queste agenzie concorda nell’escludere che il consumo di glutammato possa causare danni neuronali o alterazioni di altra tipologia. D’altra parte è difficile affermare con sicurezza che non esistano persone particolarmente sensibili al glutammato con una conseguente soglia di tolleranza che si aggira attorno ai 3 grammi a pasto.

Si tratta comunque di scenari molto lontani da quelli della sindrome del ristorante cinese che colpirebbe chi consuma in grandi quantità piatti orientali ricchi di glutammato. Sintomi come prurito alla testa, mal di testa, debolezza, asma e palpitazioni sono stati smentiti da indagini successive agli anni ’60 – ’70 periodo storico nel quale si è sviluppata la diceria, in concomitanza con la diffusione dei ristoranti cinesi negli U.S.A

Dunque il glutammato fa bene? Nemmeno questo è vero, soprattutto perché spesso si lega ad alimenti confezionati poco salutari.

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