Al Rose Salò non si parla di pescato fresco, ma di raccolto del giorno. Nello specifico, di erbe spontanee. Marco Cozza e Andrea De Carli sono gli chef di questo ristorante di Salò, in provincia di Brescia, e hanno fatto delle erbe spontanee il cuore pulsante della propria cucina.
Gli ultimi allievi di Marchesi
Chef Cozza viene da Cantù, mentre Chef De Carli da Bulgarograsso, in provincia di Como. Anche se non sono fratelli di sangue, hanno condiviso gran parte della propria vita ai fornelli. Hanno iniziato insieme, come stagisti all’Albereta, rimanendo lì negli ultimi tre anni di Gualtiero Marchesi.
«Più che una scuola di cucina, l’Albereta è stata una scuola di vita. Il messaggio non scritto qui è “non mi interessa se sai fare da mangiare, mi interessa che diventi un uomo” – ricordano gli ex apprendisti – Il piatto è una rappresentazione finale di quello che è un uomo, che fa sempre parte di un gruppo. Questo è il messaggio principale che Marchesi ha voluto ed è riuscito a lasciare alla sua brigata».
Un altro valore che Marchesi ha trasmesso ai ragazzi è l’importanza della cultura, «fondamentale per la formazione di una persona autonoma, non solo nella cucina, ma anche nella vita». Lasciata l’Albereta, è stata la volta del Baronetto, a Torino, prima di approdare all’Antica Trattoria alle Rose, oggi Rose Salò.
Erbe spontanee, che passione
Appassionati di botanica fin dai tempi della scuola, hanno iniziato sin da giovanissimi a coltivare piante aromatiche. Con l’arrivo a Salò c’è stata un’ulteriore evoluzione, con una ricerca più approfondita soprattutto sull’ecosistema che ruota intorno al lago. L’incontro con il botanico dell’azienda Tassoni, ha dato ulteriore slancio alle loro ricerche. Da questo è nato uno studio dettagliato sulle erbe del territorio, che oggi compongono il menù di Rose Salò.
«Le erbe rappresentano il nostro lato nascosto all’interno dei piatti – spiegano gli chef, che aggiungono – Per diventare raccoglitori di erbe spontanee basta avere molta voglia, passione, pazienza e olio di gomito. Bisogna imparare ad inginocchiarsi, come in una sorta di rito religioso, per raccogliere quello che la madre terra ci dona».
Amano tutte le erbe, ma hanno un debole per l’acetosella. «È quella che ci dà più soddisfazione, sia per la sua forma a trifoglio, che si presta molto bene alla decorazione dei piatti, sia per la sua acidità, che è la concentrazione del gusto moderno» spiegano i due appassionati.
Un’altra erba meno conosciuta, ma molto presente nella carta di Cozza e De Carli è la rapunzia, composta da una radice che si raccoglie in inverno, mentre le foglie sono disponibili solo nel periodo estivo. «È molto simile al rafano, ma leggermente più scarica. Compone diversi nostri piatti, tra i quali uno dei più significativi che è il salnitro».
Gabriele d’Annunzio, Vate… in cucina
Un’altra grande passione di Cozza e De Carli è la storia, tanto da dedicare un intero menu a Gabriele d’Annunzio. «Il tema è interessante perché non racchiude semplicemente il mondo gastronomico, ma ci riporta indietro agli anni ’20, un periodo molto particolare per la storia d’Italia – spiegano gli chef – E qui troviamo il confronto con gli Anni ’20 del Duemila, troviamo un filo conduttore tra le due epoche». La passione per D’Annunzio nasce dalla conoscenza del territorio, dalla conoscenza del Vittoriale degli italiani, che era la casa dell’artista, una delle più visitate di Europa.
«Con l’aiuto del capo degli Archivi del Vittoriale, abbiamo approfondito la conoscenza del Vate – ricordano i cuochi – Inizialmente abbiamo tralasciato le ricette scritte che oggigiorno trovano il tempo che trovano, vengono rielaborate nel tempo e rappresentano piatti iconici che molto probabilmente il poeta stesso neppure consumava. Ci siamo focalizzati sulle lettere che scriveva alla sua cuoca, un’autobiografia del poeta, le sue abitudini, ciò che veramente mangiava».
Il risultato? Un racconto gastronomico della sua concettualità in chiave moderna e avanguardistica. «Abbiamo trasferito D’Annunzio nella nostra cucina con estro e fantasia, cercando di rendere i concetti credibili e concreti, che è la cosa essenziale per i nostri clienti».
Lo spirito avanguardista di D’Annunzio risuona nei cuori dei due cuochi, che amano raccogliere concetti passati e trasportarli ai giorni nostri attraverso l’immaginazione e la cucina. «Una delle nostre frasi più celebre è che “l’innovazione non è nient’altro che la semplificazione del presente“, non banalizzando il presente, ma rendendolo complesso e al tempo stesso di facile fruizione per il cliente finale».
Tradizione e innovazione, 50 e 50
Al Rose Salò tradizione e innovazione viaggiano di pari passo. La prima domina il gusto, mentre la seconda arricchisce l’estetica, la scelta degli ingredienti, le tecniche di cottura e la comunicazione. «Nella nostra indole, come in quella di molti giovani chef, c’è lo spingere – forse inconscio – sull’innovazione. A volte ci è capitato di tralasciare la tradizione, forse sbagliando. Ma proprio questi errori ci hanno portato al miglioramento e al conseguimento di risultati notevoli».
Quello che conta in cucina
Nella cucina di Cozza e De Carli ciò che conta in primis è la squadra, poi le emozioni. «La cucina è molto sentimentale» confessano.
I due chef sono molto legati a due ingredienti semplici: la cipolla e l’aglio. «Anche il burro è molto importante per noi, fa parte della nostra tradizione e lo utilizziamo spesso, senza abusarne». Da buoni Marchesiani, il loro comfort food è il riso. «Quando lo facciamo entriamo nella nostra comfort zone, siamo sicuri di quello che facciamo».
La ricetta antispreco di Cozza e De Carli
«Uno dei nostri piatti più sostenibili, che arriva direttamente dalla terra è il nostro Senz’acqua, un’insalata di erbe alla griglia, servita con bagna caoda, tipica ricetta piemontese, che rielaboriamo in chiave territoriale. Aggiungiamo quindi le sarde di lago – gli agoni – che vengono presi freschi, messi sotto sale per circa due mesi e poi cotti in olio per circa 10 ore con aglio candito».
L’ingrediente principale sono le erbe spontanee che crescono sulle sponde del lago e sulle montagne. È un piatto sostenibile perché cambia a seconda di ciò che c’è a disposizione in natura, in base a quello che viene raccolto al mattino.
«Se piove e se nevica il piatto non c’è, dipende totalmente dalle condizioni climatiche. Con questo piatto vogliamo raccontare il lago, pensando che l’acqua non sia l’elemento principale. Se la togliessimo, ci renderemmo conto di quanto veramente l’acqua influenza tutto il territorio, creando una sorta di tabella di ingredienti vastissima».