La cucina giapponese è sicura dopo Fukushima

Molti di noi hanno imparato a usare le bacchette. Forse, ancora più del cibo, ci piace il rito: ci sentiamo “zen”. Dobbiamo rinunciare? Sushi, alghe e tè verde sono pericolosi? A nove mesi dall’esplosione nucleare di Fukushima, i maggiori esperti italiani di sicurezza alimentare ci tranquillizzano

Fukushima. Fino a poco tempo fa era una città giapponese quasi sconosciuta. Oggi il nome evoca uno dei maggiori disastri nucleari della storia.

Era l’11 marzo 2011 quando, in seguito a un violento terremoto, esplosero i principali reattori della centrale a 60 chilometri dalla città.

In poco tempo il fantasma dell’incubo nucleare è arrivato fino alle porte di casa nostra. O meglio, fino alle nostre tavole. Sushi, alghe, tè verde sono sicuri o c’è il rischio che siano contaminati dalle radiazioni? È la domanda che si sono posti gli amanti della cucina del Sol Levante: nell’incertezza, in tanti hanno cominciato a disertare i ristoranti giapponesi e gli scaffali dei supermercati specializzati in cibi esotici.

«Dalla scorsa primavera abbiamo registrato un calo di clienti del 20 per cento» racconta Nami Ikamura, chef in uno storico ristorante di sushi di Milano. «Pensavamo fosse un effetto della crisi, ma parlando con alcuni clienti affezionati abbiamo capito che a frenarli era la paura delle radiazioni».

Per tenere sotto controllo il problema, il Ministero della Salute è intervenuto immediatamente dopo il disastro. «E ha emanato un provvedimento per rafforzare i controlli alle frontiere dei cibi confezionati in Giappone» dice Agostino Macrì, ex direttore del Dipartimento di Sanità Alimentare dell’Istituto Superiore di Sanità e consulente per la sicurezza alimentare dell’Unione Nazionale Consumatori.

Ai Posti di ispezione frontaliera, che effettuano i controlli alle dogane, spetta il compito di verificare con la lettura della documentazione che accompagna la merce che i prodotti abbiano superato “l’esame antiradiazioni” in Giappone.

In più i prodotti vengono sottoposti a un’ulteriore analisi (a campione), che rileva l’eventuale presenza di sostanze nocive. «Gli elementi più a rischio sono verdure, latte e carne, perché uno dei pericoli maggiori proviene da una sostanza, il cesio 137, che si accumula proprio nei muscoli degli animali e nelle foglie dei vegetali e impiega 30 anni solo a dimezzare le sue quantità. Tutti prodotti che però noi non importiamo dal Giappone.

I cibi freschi del ristorante o del supermercato (sushi, sashimi, preparazioni a base di verdure o altro) sono realizzati con ingredienti nostrani e pesce del Mediterraneo» continua l’esperto. «Aggiungo che i prodotti giapponesi più diffusi vengono fatti da aziende nipponiche con stabilimenti in Europa (normalmente senza usare ingredienti giapponesi): il sake e la salsa di soia in Olanda e in Germania, le alghe in Gran Bretagna, il miso e altri derivati del riso sono fatti anche in Italia, gli impasti di soia in Brasile e in Olanda.

Altri cibi tipici, come wasabi e tè verde vengono prodotti anche in Cina e in Corea. In ogni caso, chi li acquista al supermercato può verificarne la provenienza sull’etichetta».

E quelli sfusi come il tè verde in erboristeria?

«Meglio evitarli, se non è possibile avere informazioni precise» suggerisce Macrì. I cibi giapponesi, dunque, non possono varcare i confini delle nostre frontiere, prima di aver subito un esame sui livelli di radioattività. Ma c’è la possibilità che arrivino per via indiretta, tramite i distributori di altri Paesi. «In Europa, però, esiste un sistema di controlli alimentari efficiente nel proteggere i consumatori da contaminazioni (si chiama Rasff, sistema rapido di allerta)» spiega Pier Sandro Cocconcelli, docente di Microbiologia degli alimenti all’Università Cattolica del Sacro Cuore ed esperto scientifico per la valutazione del rischio alimentare presso l’Autorità Europea per la Sicurezza degli Alimenti.

«Dopo il disastro è stato stabilito anche in Europa che i cibi giapponesi non possano superare i confini europei senza un controllo delle radiazioni all’origine. Ci si può fi dare delle autorità giapponesi? Nel dubbio, sulla merce vengono fatti ulteriori test a campione, una volta arrivata in Europa. Le rilevazioni sono severissime: grazie a sofisticate apparecchiature, il livello di radiazioni presente viene evidenziato in pochi minuti. «Da marzo a oggi, è stato rilevato un solo caso critico: una partita di tè verde, respinta subito alle frontiere per la presenza di sostanze tossiche».

E nel futuro?

Per quanto tempo ancora i controlli alle frontiere italiane saranno così attenti? Il provvedimento non ha una data di scadenza, ma resterà in vigore almeno per tutta la durata dello stato di allerta radioattiva nella zona del sisma.

«Oltre ai controlli alle frontiere, però, nei Paesi dell’Unione vengono effettuati sempre migliaia di accertamenti da parte delle autorità locali» spiega il professor Cocconcelli.

«In Italia la gestione è affidata a un sistema di vigilanza di cui fanno parte il Nas (Nucleo antisofisticazione dei Carabinieri), le Agenzie regionali per la protezione ambientale e le Asl». Usando controlli a campione e analisi approfondite, puntano a garantire la tracciabilità e a fermare i prodotti a rischio.

«Ciò non vuol dire che il rischio non esista. Ma, per esempio, camminare per strada sarà sempre più rischioso che mangiare un piatto di sushi».

Riproduzione riservata